magan01Nel 1984 Maurizio Tosi era un giovane archeologo dell’ISMEO (Istituto Studi Medio Orientali), che si trovava nel sultanato dell’Oman per esplorarne il territorio vergine, è una regione della penisola arabica tra l’Africa e l’India che si affaccia sull’Oceano Indiano. Dopo numerose campagne di scavo Tosi aveva portato alla luce una civiltà sconosciuta, quella di Magan (antico nome dell’Oman), creata da pescatori e marinai dell’Età del Bronzo ribattezzati Popolo delle Tartarughe, noti ai Sumeri come la gente del Mare Inferiore.

magan02Quello stesso anno, nel sito di Ras al-Jinz, Tosi aveva scoperto un coccio triangolare grande poco più di una decina di centimetri che riportava i segni graffiti della scrittura protoindiana di Harappa e Mohenjo Daro. Era l’indizio inequivocabile che già nel 2.500 a.C. queste popolazioni erano in grado di solcare i mari e di compiere viaggi lunghissimi. Non lontano da quel fortunato scavo Tosi trovò dei pezzi di bitume modellati su stuoie e fasci di canne legati con corde vegetali. A prima vista potevano essere i resti di un intonaco impermeabile per capanne, ma in quasi metà dei frammenti si trovarono anche resti di Cirripedi e di Teredini, dei crostacei che aggrediscono le chiglie delle imbarcazioni immerse a lungo nei mari tropicali.  Quei frammenti rappresentavano dunque quanto rimaneva della parte calafatata di una nave dell’Età del Bronzo.

magan04In collaborazione con il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, con l’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente di Roma e con il Ministero del Patrimonio e della Cultura dell’Oman, Tosi diede inizio alla sfida di riportare alla luce il passato ricreando Magan la nave nera, e verificarne la tenuta cabotando lungo la Gedrosia, fino alle foci dell’Indo.. Contemporaneamente il Louvre segnalò il ritrovamento di una tavoletta della fine del III millennio a.C. proveniente da Girsu, uno dei porti sumeri del Mare Inferiore, che elencava i materiali necessari per costruire una delle navi calafatate di Magan: bitume, legno di palma, diversi tipi di canne e corde. Nel 1995 al gruppo di ricostruzione si aggiunse l’americano Tom Vosmer, skipper, carpentiere e storico della navigazione, che aveva costruito la nave di Sindbad e quella di Giasone, servite all’irlandese Tim Severin per effettuare viaggi dimostrativi.  Così tra marzo e settembre del 2005 attraverso l’utilizzo di un software e l’analisi dei dati a disposizione, prese inizio la costruzione dell’imbarcazione, nei vecchi cantieri navali della città di Sur, nella parte orientale del Sultanato d’Oman.

magan05Inizialmente fu realizzato un modello tridimensionale seguito da una replica in scala 1:20 e da una terza in scala 1:3 di circa 5 metri di lunghezza, ed infine realizzarono la copia della nave in scala originale con una lunghezza complessiva di 13,15 metri e una larghezza di 3,5 metri per un’altezza di 3 metri escluse le punte di prua e di poppa, con una forma di mezzaluna. A Salalah, nella regione meridionale, sono state raccolte 10 tonnellate di canne palustri, 30 km di corde di fibra di palma da dattero e di lana di capra per comporre le parti dello scafo, le canne sono state legate con le corde in fasci di 10 centimetri di diametro per una lunghezza massima di 16 metri. La struttura era composta da circa 50 fasci legati trasversalmente a 40 ordinate di canne e pochi bagli di rinforzo in legno, I bagli servivano per rafforzare la struttura della nave e prevenire eventuali torsioni. Il timone era composto da due remi fissati a poppa e funzionavano in parallelo. L’albero era alto circa 8 metri e ruotava attorno al baglio centrale. La vela era di lana e di forma quadrata, filata e tessuta artigianalmente in un villaggio dell’Oman. La fase più delicata e critica della costruzione, era rappresentata dall’applicazione dello strato di bitume che passa dallo stato liquido a quello solido in pochi istanti. È stato questo il punto debole di tutto il progetto e probabilmente la causa primaria del suo insuccesso.

magan06Magan fu varata l’11 luglio del 2005 nella laguna di Sur, ma pochi minuti dopo il varo la barca cominciò ad imbarcare acqua attraverso alcuni punti dove il bitume aveva ceduto e si era di conseguenza crepato. In un mese si effettuarono le riparazioni necessarie e il 7 settembre 2005 la nave riprese la sua rotta vero il porto di Mandivi con un tempo stimato di 14 giorni, ma in piena notte Magan si abissò e trovò l’eterno riposo a 1.500 metri di profondità, a tradire fu proprio il sistema di calafataggio. Ma c’è comunque un lieto fine, Magan ha infatti una sorella gemella, un primo prototipo dell’imbarcazione che era stato costruito a Ravenna e che il 15 dicembre 2006 è stata esposta al Salone delle Pavimentazioni e Infrastrutture Stradali Asphaltica, alla Fiera di Padova.

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