RUBRICA SETTIMANALE “PAROLA DI SKIPPER” |LA PINNA DI DERIVA

La barca

12.1 La pinna di deriva

Il piano di deriva delle imbarcazioni a vela ha fatto grandi progressi negli ultimi tempi, migliorando molto la sua capacità di contrastare lo scarroccio il meglio possibile. Nel lontano passato era lo scafo soltanto (la sua opera viva) a opporsi all’indesiderato moto laterale: il risultato non era poi così cattivo, riuscendo a contenere l’angolo di scarroccio in maniera accettabile per potere avanzare contro vento, sia pure con fatica, bene espressa dal vecchio detto “due volte il percorso, tre volte il tempo, quattro volte la rogna”!

L’assenza di una pinna di deriva non comportava soltanto un notevole angolo di scarroccio, che determinava anche un considerevole aumento della resistenza all’avanzamento e, di conseguenza, una riduzione della velocità. Un altro grosso inconveniente era infatti quello della scarsa manovrabilità, che spesso voleva dire un mancato viramento di bordo, con tutte le relative implicazioni riguardanti a volte la stessa sicurezza.

In effetti la pinna costituisce anche “il perno” attorno al quale ruota lo scafo quando il timone viene portato alla banda. E’ perciò merito suo se oggi un mancato viramento è molto raro, attribuibile a particolarissime condizioni che richiedono accorgimenti non sempre messi in atto per la buona riuscita della manovra (acquisizione di un sufficiente abbrivo, gradualità nell’azionamento della barra, tempestiva e corretta manovra delle vele, assecondamento dell’onda se presente).

Fu sugli yacht, piuttosto che sulle barche da lavoro, che si cominciò a pensare di rendere più strette e profonde le sezioni della carena per migliorarne la capacità di opporsi allo scarroccio. Eravamo nell’800. Naturalmente il dislocamento aumentò e dovette aumentare la superficie velica. La zavorra continuava a essere interna. La pala del timone costituiva la naturale prosecuzione della carena verso poppa.

Le prestazioni nel risalire il vento aumentarono decisamente, e migliorò un poco la manovrabilità, rimanendo eccellente la stabilità di rotta. I successivi progressi riguardarono la zavorra, che divenne esterna, prima parzialmente e poi totalmente, con notevole abbassamento del centro di gravità e quindi della stabilità. Subito dopo la seconda guerra mondiale si cominciò a ridurre l’estensione del piano di deriva, eccessivamente e inutilmente allungato dalla prora alla poppa. Iniziò così il processo di riduzione della superficie bagnata e di conseguenza della resistenza all’avanzamento. Restringendo il piano di deriva, che aveva ormai assunto la forma di una pinna, divenne a un tratto necessario portare indietro il timone, che si era avvicinato troppo al centro, vincolandolo a uno skeg.

Finalmente, verso la fine degli anni Settanta, comparve il timone appeso, privo di skeg, e la pinna, obbedendo alle leggi dell’idrodinamica, divenne sempre più simile a un’efficientissima ala stretta e profonda che comporta minimo scarroccio e massima velocità, eccellente manovrabilità ma totale instabilità di rotta, ritenuta oggi di secondaria importanza, con la diffusione dell’autopilota.

Tratto dal libro Parola di Skipper, Editrice Incontri Nautici di Giancarlo Basile

2 Comments

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