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by sara
RUBRICA SETTIMANALE “PAROLA DI SKIPPER” |IL TIMONE COMPENSATO
La barca
11.1 Il timone compensato
La compensazione della pala del timone è ormai generalizzata, essendo diventata normale da quando si cominciarono ad applicare alle imbarcazioni i timoni “appesi”, cioè negli anni Settanta. Prima di quegli anni il timone era incernierato allo skeg e prima ancora lo era alla chiglia, di cui costituiva la naturale appendice.
Talvolta, nel caso la pala fosse vincolata allo skeg, poteva essere prevista una certa compensazione al di sotto di quell’appendice, che però aveva l’indesiderata caratteristica di farci incattivare le cime immerse, speso presenti in certi ormeggi affollati.
Per rapporto di compensazione s’intende il rapporto tra la superficie della pala a proravia dell’asse di rotazione e l’intera superficie della stessa; il suo effetto è la diminuzione dello sforzo che il timoniere deve esercitare sulla barra o sulla ruota quando accosta o quando compensa con un certo angolo di barra costante una tendenza orziera più o meno accentuata (per inciso, se quest’angolo supera i 4 o 5 gradi, la barca è squilibrata).
In teoria, se il centro di pressione dell’acqua sulla pala fosse dislocato in corrispondenza dell’asse di rotazione, non occorrerebbe alcuno sforzo per azionare la barra. Una compensazione di questo tipo in pratica non è attuabile perché è necessario che vi sia una giusta tendenza del timone a tornare spontaneamente verso il centro una volta portato alla banda; è anche opportuno che il timoniere abbia la sensazione di quanto sta lavorando la pala. Inoltre, se la compensazione supera un determinato valore, si cominciano a verificare indesiderate vibrazioni.
C’è anche da considerare che il centro di pressione non è affatto fisso, ma si sposta avanti o indietro al variare dell’angolo di barra e della velocità, un fatto che pure condiziona il rapporto di compensazione. Così questo dovrà essere alquanto ridotto, più di quanto si potrebbe pensare.
Talvolta, specialmente quando la pinna di deriva è poco profonda per permettere l’accesso ad approdi caratterizzati da bassi fondali, si aumenta la superficie della pala per supplire alla diminuzione di superficie della pinna, in modo da contenere in limiti accettabili lo scarroccio (una prassi diffusa, anche se non condivisa dal velista puro, il quale non accetta la diminuzione di prestazioni che inevitabilmente essa comporta).
In questi casi si tende a tenere il più elevato possibile il rapporto di compensazione, perché, a parità di altri fattori, lo sforzo sulla barra aumenta proporzionalmente alla superficie della pala. Può allora verificarsi un fenomeno apparentemente strano: navigando a vela non si verificano inconvenienti di sorta, a parte la detta diminuzione delle prestazioni che l’esperto velista percepisce; appena si mette in moto il motore e si ingrana la marcia avanti, la barra, oltre a mettersi a vibrare, diventa instabile, cioè tende a portarsi alla banda se non fermamente tenuta. Un inconveniente non da poco, dovuto al flusso turbolento dell’elica che investe la parte superiore della pala, dove maggiore è il rapporto di compensazione, e che causa vibrazioni.
Tratto dal libro Parola di Skipper, Editrice Incontri Nautici di Giancarlo Basilestabilità