A Tallinn, capitale dell’Estonia, sono stati molteplici i temi discussi in una riunione informale a cui hanno partecipato i ministri delle Finanze dell’Unione. Tra i vari argomenti ed in maniera prioritaria hanno affrontato  il tema della tassazione dell’industria digitale.

I Paesi, complice anche l’Italia, hanno proposto di tassare le grandi multinazionali del settore sulla base non dei profitti, ma del fatturato, mentre la presidenza estone dell’Unione è convinta che un’altra soluzione potrebbe essere quella di tassare le imprese sulla base del numero di clienti o di contratti in un dato paese.

Il problema sorge perché la situazione fiscale delle grandi imprese multinazionali è segnata da gravi forme di ingiustizia, come infatti è spiegato in un documento preparato dalla presidenza estone dell’Unione: «Siamo di fronte ad un chiaro fallimento delle regole internazionali in questo campo tale da minare il principio della neutralità fiscale». Sostanzialmente l’industria digitale riesce a sfuggire alla tassazione legata al luogo di residenza.

I riflettori sono tutti puntati sulle grandi aziende americane: Apple, Amazon, Google e Facebook. La Commissione europea avrà il mandato di studiare le opzioni per la futura web tax, visto che in questi anni molte società in Europa hanno spostato i loro profitti da un paese all’altro al solo scopo di ridurre il loro peso fiscale sulle transazioni on-line. Il Parlamento europeo stima che il mancato gettito, a causa di trucchi fiscali,  è pari a 50-70 miliardi di euro all’anno. L’idea di tassare il fatturato, e non i profitti, rappresenta una rivoluzione in campo fiscale.

La proposta estone è di tassare le società sulla base dei loro clienti nel singolo paese, modificando il concetto di «stabile organizzazione» che non sarebbe più fisica come in passato ma virtuale. Per tassare equamente una multinazionale verrebbe valutata la presenza digitale di una impresa, per esempio in base al numero di clienti residenti in un dato paese che acquistano libri, ascoltano musica, guardano film o utilizzano siti. «Sulla base di questo approccio – spiega la presidenza estone – le regole fiscali internazionali sarebbero rispettate».

Stando ai dati raccolti dall’europarlamentare socialista Paul Tang, Google è riuscita a portare fuori dall’Ue ricavi per oltre 50 miliardi; in Irlanda, Facebook riesce a limitare l’imposta a una forchetta tra lo 0,03% e lo 0,10% e se si aggiunge lo “sconto” assicurato a Google, la perdita complessiva di imposta per l’Ue sarebbe pari a 1,8 miliardi l’anno.

Bruxelles ha proposto l’adozione di una base imponibile unica per le imprese presenti in più paesi dell’Unione europea. Lo strumento, attualmente in discussione al Consiglio Europeo, sarebbe obbligatorio per le aziende con un fatturato annuo di almeno 750 milioni di euro. La base imponibile unica non risolverebbe del tutto il problema,  ma limiterebbe lo spostamento dei profitti da un paese all’altro al solo scopo di ridurre il carico fiscale.

Le ipotesi in campo sono tante e Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera aggiunge: «A mio avviso la tassazione indiretta delle multinazionali del web alla base del lavoro dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) rimane la strada maestra che è la stessa della cosiddetta webtax varata dal Parlamento italiano nel 2013 e poi bloccata».

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