Si chiamavano Olympic e Britannic, e neppur loro ebbero una vita tranquilla e fortunata, come da queste brevi note si potrà rilevare.

Con quelle tre navi la White Star Line intendeva far concorrenza alla Cunard, cioé alla compagnia d’armamento del Mauritania e del Lusitania (d’infausta memoria): questi due transatlantici erano sì un po’ più piccoli, ma un po’ più veloci, tanto che il Mauritania detenne il nastro azzurro per ben ventidue anni, dal 1907 al 1928 (strappatogli dal tedesco Bremen); la potenza installata sui tre gemelli della White Star Line non avrebbe mai consentito di competere in velocità, ma il lusso più raffinato, le maggiori dimensioni e superiori caratteristiche di sicurezza li avrebbero comunque resi assai competitivi economicamente.

L’Olympic entrò in servizio nel 1911, fu radiata nel 1935 e demolita due anni dopo. A differenza degli altri due giganti ebbe quindi una lunga carriera, durante la quale non fu però esente da incidenti. Il Comandante E.Smith (quello che poi scomparirà col Titanic), all’inizio del suo quinto viaggio, appena uscita da Southampton, si immetteva nel Solent a 16 nodi navigando parallelamente a fianco dell’incrociatore Hawke (circa sette volte più piccolo), che nel Solent già stava navigando: a quella velocità ed in acque ristrette e poco profonde lo spostamento della massa liquida fu tale che l’incrociatore venne risucchiato e la collisione fu inevitabile. L’incrociatore ebbe la prua demolita e rischiò l’affondamento, il transatlantico riportò uno squarcio a poppa a dritta con danni ad un’elica ed al relativo asse e dovette tornare a Belfast per la riparazione. Durante la guerra operò quale trasporto truppe ed ebbe la ventura di affondare, speronandolo, l’U103 fermo in superficie per avaria (unico caso di sommergibile affondato da nave mercantile). Ripreso il servizio in tempo di pace, effettuò circa 200 regolari traversate, fino al 1934, quando fu protagonista d’un ultimo brutto incidente: in rotta per  New York, il mattino del 15 maggio con nebbia fittissima, a velocità molto ridotta, non riusciva ad evitare il battello faro di Nantucket provocandone l’affondamento e la morte di sette degli undici occupanti (la sciagura avvenne nei paraggi del naufragio radar-assistito dell’Andrea Doria nel 1956). L’anno seguente l’Olympic veniva ritirato dal servizio.

Gli insegnamenti tratti dalla tragedia del Titanic avevano fatto sì che miglioramenti venissero apportati sia all’Olympic che al Britannic. Quest’ultimo era ancora in costruzione e, oltre a più scialuppe e ad una più efficiente compartimentazione, ricevette anche un doppio scafo parziale, risultando più largo e più pesante degli altri due, tanto da fruire d’un apparato motore più potente. Ma tutto ciò non bastò per sottrarlo alla sfortuna.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, non ancora completato quale transatlantico, fu requisito e rapidamente trasformato in nave ospedale e come tale navigò per un paio di mesi fra l’Inghilterra e la zona dei Dardanelli. Alle 9 del mattino del 21 novembre del 1916, al suo ottavo viaggio, attraversando con tempo buono il canale di Kea (fra l’isola omonima e l’Attica), urtò una mina ancorata da poco, insieme ad altre, dal sommergibile U 73: l’esplosione provocò uno squarcio con estesi danni alle paratie stagne ed il Britannic affondò 55 minuti dopo. Su oltre mille persone che fra equipaggio e personale medico si trovavano a bordo solo trenta persero la vita: a differenza del Titanic poté calare almeno 35 scialuppe, si trovava in acque relativamente calde ed a circa quattro miglia da terra, non trasportava passeggeri ed i soccorsi giunsero rapidamente.

 Autrice: Maria Ester Venturini

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