
Cenni storici
L’origine del corallo è stata per secoli avvolta nella leggenda, Ovidio nelle Metamorfosi e Plinio il vecchio nella Naturalis historia riconoscono al corallo la stessa genesi mitica, e cioè che il sangue che continuò a gocciolare dalla testa recisa della gorgone Medusa, si trasformò in corallo.
I primi popoli del bacino del Mediterraneo furono probabilmente impressionati dalla sua origine marina e dal suo colore caldo e vivo, tanto che iniziarono a lavorarlo e a farlo conoscere in tutto il mondo. Come fu scoperto solo agli inizi del ‘700 dal medico marsigliese Peissonnel, non è un vegetale, anche se ramificato e non è un minerale anche se pietrificato, il corallo è una secrezione calcarea prodotta da colonie di microrganismi e quindi è di origine animale. Il corallo rosso del Mediterraneo ha sedotto tutti i popoli che ne sono venuti in contatto, creando tra questi un legame particolare formato dalle virtù portentose che nei secoli tutti gli hanno attribuito. Gli ornamenti in corallo rinvenuti in alcuni siti archeologici fanno supporre che fosse conosciuto già varie migliaia di anni fa e dal canto loro i Greci ne furono dei grandi estimatori. In tutto il Mediterraneo si praticava la pesca e la lavorazione del corallo che veniva poi esportato in tutto il mondo conosciuto, utilizzando le vie per le quali in senso inverso si importavamo le spezie, la seta, i profumi e le altre merci pregiate. Il corallo si insediò stabilmente nei costumi dei popoli nomadi d’oriente che lo utilizzarono perfino per ornare i propri cavalli, ritenendolo un formidabile portafortuna. In Italia i primi a dedicarsi alla pesca e alla lavorazione sistematica del corallo furono i trapanesi che ben presto divennero abilissimi scultori, specializzati nell’incastonatura di piccoli coralli su oggetti sacri e di uso domestico. Torre del Greco già a partire dal 1400 si dedicò alla pesca del corallo ed i pescatori torresi si spinsero con le loro coralline fino alle coste africane. Nel ‘700 divennero sempre più forti le ostilità della Compagnie Royale d’Afrique (compagnia francese) nei confronti di tutti i pescatori stranieri, affermando il suo monopolio sulla pesca del corallo, finché nel 1780, a causa degli incidenti sempre più frequenti, i torresi chiesero ai Borbone una regolamentazione della pesca del corallo. E fu così che dopo una decina di anni venne stilato il Codice Corallino. Si richiese inoltre di poter trasferire la lavorazione del corallo lì dove era pescato, e nel 1790 Acton approvò la fondazione della Real Compagnia del Corallo, che avrebbe assegnato ai torresi il monopolio della vendita del corallo.
Il corallo ai giorni nostri
Il corallo viene impiegato, sia come pietra preziosa in gioielleria , sia nella fabbricazione di oggetti artistici e decorativi. Sono due i tipi di lavorazione: la lavorazione a liscio, che è la lavorazione a carattere più seriale, dove per lavorazione a liscio si intende la realizzazione di manufatti per la gioielleria di forma geometrica, che viene ottenuta mediante asportazione di materiale per mezzo di seghe, mole abrasive , lime ecc. La lucidatura viene ottenuta mediante burattatura o per lucidatura a cera. E la lavorazione a incisione che permette di ottenere manufatti dalle forme complesse, a volte delle vere e proprie sculture. L’incisione come nella lavorazione a liscio avviene per asportazione di materiale, attraverso strumenti come seghe, mole abrasive e lime e strumenti ad alta precisione come bulini e frese .
Fasi della lavorazione del corallo
La prima fase della lavorazione è il lavaggio, il corallo viene immesso in buratti con acqua ed altri componenti. I buratti ruotando fanno perdere al corallo la veste, ovvero la parte più esterna e più giovane del ramo che ancora non ha avuto il tempo di calcificarsi, donando al corallo il suo meraviglioso rosso naturale. A questo punto il corallo è pronto per il taglio, che un tempo veniva eseguito su un apposito banco di legno, incidendo il pezzo prima con una lima di acciaio a triangolo, poi più profondamente, con una spada a sega e recidendolo, infine, con una grossa tenaglia. Ora per lo più si usano dei sottili dischi diamantati. Il corallo già tagliato e diviso a gruppi viene selezionato per colore, e passa poi per una serie di crivelli dal fondo di ottone, con fori gradualmente più grandi, per ottenere varie partite di diverse misure. Per la foratura si utilizzava un trapanetto ad arco munito di punta di acciaio, il corallo veniva forato a passatoio, cioè da parte a parte, per essere infilato in collane, o a mezzobuco, nel caso di bottoni, palline, pendoli da fissare su perni. Attualmente si utilizzano motori elettrici. Il corallo subisce in questa fase una spianatura, ovvero viene infilato in un filo di ferro rigidamente teso e viene sgrossato su una mola di pietra arenaria. Segue la arrotatura o arrotondatura eseguita un tempo con una grossa mola, per un lavoro meno pregiato oppure con una lima di acciaio temperato a punta, detta quadrella, per rendere perfetta la curva del pallino. Ora gli strumenti non sono più manuali ma elettrici.
L’ultima fase è dedicata alla lucidatura, il corallo lavorato si presenta opaco e con microscopiche rigature in superficie, dovute all’abrasione esercitata dallo smeriglio della ruota. La lucidatura, ha il compito di eliminare queste rigature e ravvivare il colore del corallo, lucidandolo. Tradizionalmente veniva effettuato inserendo il corallo da lucidare in un sacchetto di iuta, aggiungendo dei minuscoli frammenti di corallo grezzo, pomice e pulimiento, una sostanza la cui composizione viene tenuta segreta. Il sacchetto di iuta veniva poi ricucito nel lato aperto. Se ne otteneva così un minuscolo cuscino, chiamato pupatella. Un operaio sfregava dalle sei alle sette ore la pupatella su una tavola di legno a forma trapezoidale, sulla quale gocciolava dell’acqua. Tutto questo procedimento manuale così caratteristico viene oggi sostituito per lo più dall’uso di buratti, entro i quali vengono immessi i coralli da lucidare, insieme con tutte le componenti che venivano usate per la pupatella.
I coralli vengono poi ulteriormente selezionati secondo misura, colore e qualità e passano per la bucatura, eseguita sui pezzi di corallo destinati a diventare pallini per collane. I cilindretti grezzi vengono bucati per lo più ancora con un antico e tradizionale strumento, chiamato fuso. Si tratta di un archetto in legno munito del classico filo di spago in tensione, agganciato a questo filo di spago vi è un fuso che porta nella parte terminale anteriore un ago molto sottile e affilatissimo. Mediante pressione esercitata dalla mano della bucatrice (per lo più sono le donne che attendono a questo compito) sull’arco, viene fatto ruotare vorticosamente il fuso. L’ago che questo porta, poggiato sul cilindro di corallo, lo buca da parte a parte, con l’aiuto di acqua che, cadendo sul corallo goccia a goccia, ne attenua il calore che si determina durante la bucatura e che potrebbe spezzarlo. Segue la fase della rociatura dove il cilindro di corallo diventa pallino. Il cilindro viene messo a contatto, tramite appositi sostegni, con una ruota smeriglio che presenta, nella faccia esterna ruotante, delle scanalature semitonde di misura differente e viene consumato dalla ruota che gira fino ad assumere la caratteristica forma tonda. L’ultima fase molto delicata alla quale sovrintende la Maestra infilatrice, è la selezione delle sfere a seconda del diametro, del colore in base alle differenti tonalità e della qualità. Solo dopo tale selezione si può passare all’infilatura. Questa viene fatta in base alle indicazioni che vengono dal reparto commerciale, circa la preferenza che hanno i clienti su lunghezza delle collane, dimensioni, caratteristiche estetiche. Tutte le collane, di uno stesso tipo e dimensione, una volta infilate su cotone, vengono raccolte in mazze e tenute insieme da un torcino, una caratteristica treccia di cotone.
Tratto da: “Coralli De Simone”